Di: GIULIA MERLO
Al Partito Democratico mancano le gambe, questo dimostrano gli esiti dei ballottaggi. L’unico modo per andare avanti è una ricostruzione della struttura del partito. Vannino Chiti è un uomo di partito e di amministrazione, la cui storia politica nasce tra le fila del Partito Comunista, come sindaco di Pistoia e Presidente della Regione Toscana. Oggi siede tra i banchi del Senato ma conosce bene gli equilibri intorno a cui ruota il voto locale.
La sconfitta del Partito Democratico a questa tornata elettorale amministrativa è stato ammesso anche dal suo segretario, Matteo Renzi, e adesso?  E adesso ci prendiamo un tempo per la riflessione, uno per una seria discussione politica. Infine arriveremo al congresso.
Eppure la tensione tra la minoranza dem e il suo premier-segretario è alta. E’ certo che questi tempi ci saranno? Bisogna trovarli, questi tempi. Dobbiamo tenere i nervi saldi e resistere alla tentazione di una resa dei conti interna, perché sarebbe un peccato di autoreferenzialità e non verrebbe capita dai cittadini.
Eppure ieri si è fatto avanti il primo candidato a prendere il posto di Renzi come segretario del partito. Come interpreta questo passo avanti di Enrico Rossi? Io trovo che sia prematuro parlare di congresso, perché rischia di farci perdere la strada. Un congresso fatto solo di candidature e slogan non porterà ad alcuna soluzione. Sarebbe un replay del congresso di tre anni fa, in cui non si è discusso di temi ma solo di nomi, e non modificherebbe nulla poi nel concreto. Rossi, in questo momento dovrebbe preoccuparsi di quello che è successo nella regione di cui è presidente, la sua e la mia Toscana. Prima di candidarsi a segretario, dovrebbe chiedersi le ragioni per cui in due anni il centrosinistra ha perso i tre capoluoghi Livorno, Arezzo e Grosseto e al ballottaggio cinque comuni. Su questo si dovrebbe riflettere, non sulle candidature.
Da dove si comincia a mettere ordine? Il punto di partenza deve essere proprio questo voto amministrativo dagli esiti così negativi. Partiamo dalle cause: la prima è che c’è stato un evidente distacco dai mondi storicamente vicini a noi: mi riferisco a quello del lavoro, della scuola e della pubblica amministrazione. La seconda è che, evidentemente, il nostro modello di amministrazione locale si è progressivamente logorato, per tornare ad essere rappresentativo, deve essere riformato e innovato. I motivi della sconfitta sono sia locali che nazionali, ma il nostro errore principale è il mancato coinvolgimento dei cittadini nelle scelte e questo vuoto è stato riempito dalla retorica della partecipazione del Movimento 5 Stelle.
A questi ballottaggi i grillini hanno dilagato ben oltre le aspettative.
Questo è certo, ma leggendo attentamente il dato elettorale si nota come ci sia stato una sorta di incrocio di populismi tra Movimento 5 Stelle e Lega Nord, i cui elettori hanno trovato una reciproca convergenza dal punto di vista degli orientamenti culturali. I due movimenti dimostrano di essere permeabili e cavalcano gli stessi temi, dall’euroscetticismo al no ai migranti.
Vede qualche responsabilità del governo nazionale dem nell’esito dei ballottaggi? Io credo che sia troppo semplice attribuire a livello nazionale questa sconfitta. Non possiamo pensare che il governo vada bene solo quando si vince. Le responsabilità vanno cercate all’interno del partito, una macchina che doveva correre e che invece si è inceppata.
Proviamo a fare una radiografia del Partito Democratico del 2016.
Il Pd nasceva per essere la speranza dell’Italia e la nuova casa dei riformisti, ma oggi – per dirla con Romano Prodi- rischia di rimanere una missione incompiuta. Le sedi decisionali del partito, quello deputate a decidere la linea politica e culturale, non funzionano. Di questo malfunzionamento la causa sono le primarie: io sono d’accordo che siano il mezzo migliore per scegliere i candidati, ma non lo sono per eleggere un segretario e una direzione di partito. Che senso ha che un elettore scelga il mio segretario sulla base di slogan urlati in televisione e su Twitter, votando a un banchetto la domenica mattina?
Eppure sono considerate nel Dna del partito. Ripeto, vanno bene per scegliere i candidati premier, sindaco e presidente della Regione, però non è un caso che nessun altro paese nel mondo le utilizzi per eleggere la struttura interna del partito, in questo modo, infatti, si elimina la differenza tra militanti ed elettori e ciò influisce in tutti i livelli, dalla direzione nazionale ai circoli. Il pericolo reale è che il partito diventi solo una macchina di propaganda e non sia più un luogo di condivisione e di discussione dei temi programmatici. La politica è passione: se i militanti non riescono più ad appassionarsi e si appiattiscono al comitato elettorale gli esiti sono quelli che vediamo.
Oltre a guardarsi dentro, il Partito Democratico guarda anche fuori? Il Pd è nato per essere la casa di una sinistra pluralista, che abbraccia tutte le esperienze democratiche del paese. Una storia come quella del sindaco uscente di Milano, Giuliano Pisapia, va guardata e cercata. La nostra vocazione è quella di unire intorno ai temi che fanno parte della nostra cultura: la libertà, il lavoro e l’uguaglianza. Intorno a qucsti pilastri dobbiamo radunare tutte le anime della sinistra.
Si tratterebbe di una prova di incontro in ottica elettorale?  Il punto non è sempre e solo elettorale. I movimenti progressisti di cui parlo portano contenuti e idee, e in questo momento più che mai il Pd ha bisogno di una nuova fondazione culturale, per offrire ai nostri militanti nuove chiavi di lettura della realtà. Solo così andiamo avanti.

Nulla nella sua analisi tocca il governo di Matteo Renzi. Eppure c’è chi chiede le dimissioni del governo dopo questa débàcle. Renzi non ha alcuna ragione per doversi dimettere e questa richiesta rientra in una logica di strumentalizzazione tipica del nostro paese. Dimostra anche l’incapacità di chi le chiede di fare un’analisi del voto. La scelta degli elettori ha riguardato la dimensione locale ed è stata fatta sulla base di una valutazione della situazione della loro città. Pensare che si sia trattato, invece, di un voto sul governo è un modo di togliere valore al volo locale, come se fosse meno rilevante rispetto a quello nazionale.

Al netto della notte nera del 19 giugno, non ci sarà alcun terremoto nel Partito Democratico? Lo dico, invece, quello che ci sarà: la pretesa di una discussione seria, fatta di analisi e non di slogan, e a seguire la scelta della direzione da dare al partito, come ha detto ieri anche Gianni Cuperlo. Se l’azione della minoranza fosse concentrata solo sulla modifica degli equilibri di potere, questo non darebbe alcun contributo vero al Pd e non farebbe altro che allontanare i nostri elettori