La riforma costituzionale è stata approvata definitivamente dal Parlamento. Non è quella che avrei scritto, ma rispetto al testo iniziale è sicuramente migliorata. Avrei preferito, se si voleva un Senato rappresentativo delle Regioni, varare il modello del Bundesrat tedesco. Nel caso di un Senato delle garanzie, la scelta era quella dell’elezione diretta da parte dei cittadini. Il compromesso realizzato è accettabile e abbiamo contribuito a definirlo. I senatori-consiglieri regionali non saranno espressione di trattative tra i gruppi politici ma saranno scelti dai cittadini. La forma e la collocazione di questa norma nella Costituzione non è la migliore possibile, ha ragione il professor Ainis. Ciò dipende anche dalla decisione assunta dalla presidenza delle Camere sull’ammissibilità degli emendamenti.
Non sono d’accordo con chi vede sconvolto l’equilibrio tra i poteri. L’elezione del presidente della Repubblica è sottratta al volere delle maggioranze di governo; altrettanto quella dei giudici della Corte Costituzionale; vengono resi agibili ai cittadini i referendum abrogativi e le leggi di iniziativa popolare; sono introdotti i referendum propositivi e di indirizzo.
A ottobre, con il referendum costituzionale, saranno i cittadini ad avere l’ultima parola. È giusto che sia così. Del resto lo abbiamo posto, al Senato, come una delle condizioni per il voto a favore. Ora risultano decisivi, per lo stesso referendum, alcuni impegni che pubblicamente devono assumersi il Pd e la maggioranza di governo. La legge per l’elezione dei senatori deve essere incardinata prima del referendum e approvata entro la legislatura. Occorre dare attuazione alla previsione costituzionale che introduce i referendum propositivi e di indirizzo. La democrazia vive se c’è partecipazione. Non si tratta solo di votare sì al referendum, in coerenza con il voto in Parlamento: è necessario un impegno collettivo. È inaccettabile e sbagliato ridurlo o ad un plebiscito dai toni personalistici o ad una contrapposizione dalle forzature catastrofiste. Anche perché il capitolo della Costituzione non è concluso.
Nella prossima legislatura dovrà essere definito con chiarezza il ruolo del presidente del Consiglio. Con l’Italicum di fatto sarà eletto direttamente. Sarà bene precisarne i poteri e quelli del presidente della Repubblica. Per me è giusto che il premier nomini e revochi i ministri. Ma in caso di crisi di governo? Il presidente della Repubblica dovrà prenderne atto come un notaio e sciogliere la Camera, o potrà ricercare un nuovo premier all’interno della maggioranza di governo? Per me sì. Sono nodi importanti da sciogliere e richiedono non divisioni manichee, ma dialogo e paziente ricerca di convergenze. La Costituzione è del popolo italiano.
Anche sull’Italicum sarebbe opportuna, finché si è in tempo, una riflessione critica: superare le pluricandidature e, in caso di ballottaggio, consentire gli apparentamenti sarebbe una decisione saggia e giusta. Non un cedimento, ma un atto di responsabilità verso il Paese.