CHITI (PD). Signora Presidente, colleghi, signori del Governo, il testo sottoposto al nostro esame non ha subito modificazioni nel passaggio alla Camera dei deputati. Su di esso, quindi, a differenza del primo progetto, confermo, come in occasione della precedente lettura nell’autunno scorso, il mio voto positivo.
Nel corso della precedente lettura ho illustrato le ragioni del mio consenso. Il superamento del bicameralismo paritario è una necessità per la nostra democrazia e penso che il non riuscirci darebbe un colpo definitivo alla credibilità della politica nel nostro Paese, nel dilagare in tutta Europa dei populismi che sfidano la democrazia rappresentativa e lo stesso futuro dell’Unione europea.
Il superamento del bicameralismo paritario avviene ora, dopo le modifiche che abbiamo apportato in Senato la volta scorsa, su basi che sono per me condivisibili nella sostanza. Faccio anzitutto riferimento alle competenze affidate al Senato, al mantenimento del bicameralismo paritario sulle revisioni della Costituzione e sui referendum e ad un ruolo di rilievo del Senato nel controllo delle politiche pubbliche e delle nomine del Governo, compiti che possono essere di primo piano nel rapporto con l’Unione europea e con il sistema delle Regioni e delle autonomie locali.
Naturalmente, come sempre avviene in democrazia e nella riforma delle istituzioni, i compiti bisogna poi saperli svolgere, ma a me pare sbagliato e forse frutto di una cultura parlamentare non aggiornata il fatto che si ritenga, ad esempio, che funzioni di controllo sulle politiche pubbliche o sulle nomine governative siano qualcosa di non rilevante per una Camera.
Rispetto poi al tema di un più complessivo equilibrio nel sistema democratico, ricordo che le modalità per l’elezione del Presidente della Repubblica, anche se per me sarebbe stata auspicabile una più precisa norma di chiusura che non abbiamo trovato, hanno tolto questa elezione alla forza di un solo partito o di una maggioranza. Da questo punto di vista, mi ha stupito il senatore Quagliariello – lo dico perché lo stimo ed ho con lui un rapporto cordiale di confronto – quando ieri ha usato l’elezione del Presidente della Repubblica come uno dei motivi della sua presa di distanza, almeno come simbolo di scelta, in questo passaggio del voto al Senato. Così per la disposizione che fa sì che il Senato in modo autonomo elegga i due giudici della Corte costituzionale. Anche questi aspetti, con le correzioni che noi abbiamo introdotto, rappresentano a mio giudizio un passo in avanti.
Così, per quanto si riferisce al referendum propositivo e di indirizzo. Sono stupito dal fatto che nel “dibattito” gli interventi che ho ascoltato qui o alla televisione non abbiano messo con forza in evidenza l’attuazione di questi strumenti che sono stati introdotti. Bisogna ora dare loro attuazione, ma i referendum propositivi e di indirizzo sono una scelta significativa nel rapporto tra istituzioni della democrazia e cittadini in una fase in cui la democrazia rappresentativa ha bisogno di far proprio e di rendere complementari momenti e strumenti di partecipazione diretta.
Infine, per me è stata e resta decisiva la fonte di legittimità su cui si regge il Senato che verrà e cioè il fatto che i consiglieri regionali e i senatori saranno scelti dai cittadini. È una innovazione, anche questa, introdotta nel precedente passaggio al Senato e confermata alla Camera.
Naturalmente, anch’io ritengo che vi siano aspetti, dal mio punto di vista, meno convincenti e li ho richiamati la volta scorsa: il non bicameralismo paritario per le grandi questioni etico-politiche (penso e temo che lo comprenderemo solo nei prossimi anni se questo sarà un rischio di divisione e contrapposizione nel nostro Paese); la riduzione, che anch’io avevo proposto con altri colleghi, del numero dei deputati, la collocazione istituzionale, cioè in quale Camera, dei parlamentari di nomina presidenziale, non più a vita ma comunque eletti per sette anni, degli ex Presidenti della Repubblica o, come ha ricordato il collega Micheloni, degli eletti nel collegio estero.
Ritengo che i temi che ora ho richiamato siano certamente rilevanti, così come alcuni aspetti del nuovo Titolo V, ma non siano prevalenti, per il loro peso, così da far fallire o da portare a far fallire il percorso della riforma. Esistono, dal mio punto di vista – per altri magari no – ma non mi pare che il loro peso possa oggi considerarsi prevalente rispetto all’approdo e all’esito del percorso della riforma.
Del resto, anch’io avrei visto bene altre soluzioni, come ha richiamato poco fa il presidente Casini: un rigoroso modello Bundesrat, cioè il Bundesrat in quanto tale (ma comporta anche un tipo di forma di Governo e di legge elettorale per la Camera dei Deputati), o un complessivo ed autentico modello francese, ma – vorrei dire al senatore Casini – anche questo non semplicemente per come si elegge il Senato in Francia (corpo più ristretto e competenze) ma anche per come si elegge, con un sistema a doppio turno e collegi uninominali, l’Assemblea nazionale.
Voglio dire allora che questi elementi, che ci sono, non mi portano però, come ho detto, ad assumere in coscienza la responsabilità di non sostenere l’approdo di un percorso su cui penso si giochi una parte rilevante della credibilità, non dell’una o dell’altra parte politica, ma della politica nel nostro Paese.
Non voglio, in questo intervento, tornare su polemiche con i Gruppi parlamentari o con i colleghi di altri Gruppi che, dal loro punto di vista, sono contrari al progetto di riforma. In me c’è un rammarico, che considero una sconfitta per tutti: ognuno può variare i pesi delle responsabilità, ma penso sia una sconfitta per tutti il non essere riusciti a dar vita ad una riforma più ampiamente condivisa. Avrei voluto una riforma che segnasse, con lo stesso svolgimento del referendum (che comunque ci sarà ed è una scelta, non è soltanto un fatto dovuto ai numeri, e darà ai cittadini l’ultima parola sulla riforma), un nuovo inizio nel riconoscimento reciproco tra i partiti ed una ricostruzione di fiducia tra partiti e cittadini.
Temo, sentendo toni e argomenti di molti interventi, che il referendum stesso potrà portare, non a un momento alto di democrazia per un confronto di merito sulle diverse valutazioni della riforma, ma al rischio di una contrapposizione politica frontale che non penso sarebbe auspicabile.
D’altra parte, la strada della delegittimazione o quella delle offese, anche se fatte in modo cordiale, non evidenzia la forza delle idee, quanto piuttosto la loro debolezza e, soprattutto, non ricostruisce una fiducia nei rapporti tra cittadini e istituzioni. Dice un proverbio: chi semina vento raccoglie tempesta; tempesta, non una convivenza più avanzata.
Né si può sostenere che la sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale, in vigore ancora nel 2013, impedirebbe al Parlamento di realizzare le riforme (si dovrebbe occupare solo di questioni ordinarie, stabilendo poi quali siano). È ordinario eleggere i giudici della Corte? È ordinario eleggere i Presidenti della Repubblica? Mi pare una strada che non abbia molto senso e, soprattutto, non è la verità. Se tra noi non ci diciamo ciò che corrisponde alla verità, è difficile ricostruire qualcosa con i cittadini.
Così come voglio notare, in conclusione, l’atteggiamento dei colleghi di Forza Italia quando esprimono insoddisfazioni, punti di critica, che li portano ad alzare i toni e il livello del confronto per testimoniare il loro no alla riforma. Addirittura, anche loro parlano di un attacco alla libertà e alla democrazia. Io penso, però, che, i cittadini non seguiranno questa strada, perché i cittadini che decidono hanno consapevolezza quanto noi delle cose. Come giustificano questi colleghi di aver votato per la riforma quando l’innovazione cui ho fatto riferimento non c’era? Quindi, oggi votano perché le innovazioni sono insoddisfacenti o inconcludenti, ma hanno già votato quando queste non c’erano. Così come hanno votato a favore dell’Italicum, quando alcuni di noi hanno, rispetto a esso, sollevato alcune riserve, che erano riserve non soltanto, come ieri ancora diceva il senatore Quagliariello, legate alla possibilità di introdurre le coalizioni nel ballottaggio, ma anche alla pienezza della rappresentanza (e anche questo aspetto va tenuto presente, non è secondario) rispetto ai capilista bloccati.
Infine, conta molto ciò che avverrà nei prossimi mesi, da qui al referendum. Io ho in mente un editoriale del professor Ainis sul «Corriere della Sera» del 14 gennaio scorso, nel quale mi sono ritrovato. Il professor Ainis diceva che occorrono misure per rendere più rapida e più efficace l’attuazione di impostazioni contenute nella riforma. Egli ne citava diverse, ma tra le prime vi era la legge per l’elezione dei consiglieri – senatori. Alcuni di noi hanno già avanzato proposte (il primo firmatario è il collega Fornaro) per la legge elettorale con cui dare forma concreta al fatto che saranno i cittadini a scegliere e designare i futuri consiglieri senatori. Se su questa, o su altre proposte che potranno esserci, si dà vita subito ad un confronto e si incardinano le proposte (certo, di più non si può fare, ma l’incardinamento e il confronto possono esserci), se questa situazione sarà già in essere durante il referendum e se, come io penso, il referendum approverà la riforma, l’assunzione dell’impegno ad applicare la riforma sarà efficace e rapido.
Concludo davvero, signora Presidente. Dico ad alcuni colleghi con cui ho fatto dei tratti di strada (ad esempio il collega Micheloni, il cui intervento ho ascoltato questa mattina), che in questo nostro viaggio sulla riforma della Costituzione le posizioni si sono intrecciate, unite, talvolta divise, come è normale, perché ognuno di noi fa riferimento alle proprie convinzioni. Io penso che fra noi, non solo dentro il PD, ma tra noi senatori e parlamentari, prima di tutto debba esservi rispetto, tanto più – vorrei dire – quando c’è un dissenso legittimo.
Di fronte a passaggi di così grande rilievo, ancor più per ognuno si pone il tema, che non è semplice e che è richiamato anche in testi di cultura politica, del rapporto tra l’etica dei valori, cioè i propri convincimenti ideali, e l’etica della responsabilità, cioè i punti di equilibrio, di ascolto, di ricerca, di costruzione paziente di convergenze e – se si vuole – di compromessi, che non siano bloccati da assoluti personali. Perché questo consente di assumere decisioni, di far avanzare scelte che mantengono coerenza con i principi, quelli irrinunciabili, che ci guidano.
Se non si opera questo sforzo, si può restare o nella testimonianza nobile, seria, ma che non costruisce opere e soluzioni concrete, oppure si può cadere in un pragmatismo senza ideali, che può diventare anche cinico. Non esiste naturalmente un automatismo che segni in modo inequivocabile dove sia il terreno, il confine sul quale si incontrano l’etica dei valori e quella della responsabilità. Ognuno per definire questo terreno deve seguire la propria riflessione, la propria coscienza, assumersi il dovere di una scelta di cui poi rispondere. Per me personalmente questo confine e questo terreno di incontro nella riforma si è realizzato con le innovazioni che sono state introdotte e che ho richiamato. Io rispetto chi non le ritiene sufficienti o soddisfacenti, se nel merito le argomenta e al merito sta; per me invece rendono il progetto di riforma in grado di poter essere sostenuto.
L’impegno deve essere poi quello di attuare, dopo il referendum, le innovazioni fondamentali che vi sono contenute. Questa è la convinzione che accompagna il mio voto positivo.