Vannino Chiti - Senatore della Repubblica

Vannino Chiti – Senatore della Repubblica

Di: Domenico Giovinazzo

Le divisioni sulla politica estera, l’assenza di una strategia comune per il Mediterraneo, la risposta all’emergenza immigrazione, data “male” e “con politiche nazionali, con mancanza di solidarietà, con muri e con forze di polizia”: sono tutti segni di una Unione europea che non funziona. “Se non facciamo un passo avanti, verso una democrazia sovranazionale europea, rischiamo di farne diversi indietro e di rimettere in discussione lo straordinario tragitto già compiuto”. È la riflessione di Vannino Chiti, presidente della commissione Politiche Ue del Senato, il quale ritiene che la governance europea vada rimessa in discussione, tanto per la zona euro quanto per l’Unione più allargata. Anche attraverso cambiamenti drastici come la trasformazione del Consiglio europeo in un Senato dell’Ue.

Presidente Chiti, ieri in commissione avete approvato una risoluzione che impegna il governo a rilanciare in Europa il dibattito sulla modifica dei Trattati europei. Cosa va cambiato? Ci sono due aspetti da affrontare e sui quali mi ha fatto piacere ritrovare una condivisione nel corso dell’incontro al Quirinale la settimana scorsa, quando il presidente Sergio Mattarella ha ricevuto gli europarlamentari italiani. Il primo riguarda una governance democratica dell’area euro, che va realizzata dando all’Eurozona un governo stabile e con una presidenza stabile, un raccordo parlamentare e strumenti di bilancio. Su questo si può iniziare a intervenire subito, rimanendo all’interno del Trattato di Lisbona e utilizzando lo stumento della cooperazione rafforzata.

Il secondo aspetto? Riguarda la realizzazione di una compiuta democrazia sovranazionale europea, per la quale invece sarà necessaria una revisione dei trattati. Bisognerà eleggere il Parlamento europeo con una legge elettorale unica che riguardi tutti gli Stati membri, altrimenti sarà difficile dare all’Assemblea l’insieme della forza che avevano i parlamenti nazionali all’apice dello sviluppo degli Stati nazionali.

Dunque lei immagina il Parlamento dell’Unione come depositario del potere legislativo pieno. Quale nuovo ruolo dovrebbero avere Commissione e Consiglio europei? Bisogna che il Consiglio europeo diventi un’altra cosa: deve trasformarsi in un Senato dell’Unione, con compiti prevalenti sul bilancio dell’Ue e sull’ingresso di nuovi Stati membri. Uno dei problemi che oggi vive l’Unione europea è che a un aumento di competenze trasferite a livello sovranazionale si accompagna un sistema non comunitario ma intergovernativo. Il fatto che il Consiglio europeo, formato da capi di Stato e di governo, sia diventato l’organismo più importante, con un peso eccessivo, che rallenta le decisioni – basti guardare alla gestione dell’immigrazione – perché ci vuole l’accordo di 28 che più in là aumenteranno, è una contraddizione che va rimossa.

La Commissione, in questa ottica, dovrà assumere un potere maggiore. La Commissione europea deve essere il vero governo federale dell’Unione, con il presidente che intanto può essere il candidato della formazione che vince le elezioni europee – come è avvenuto in questa legislatura con Jean Claude Juncker, ma il meccanismo deve diventare stabile – e in prospettiva si può valutare se sia più giusto che venga eletto direttamente dai cittadini.

Il negoziato per la permanenza del Regno Unito nell’Ue è una opportunità per ridiscutere le regole o un rischio per la tenuta dell’Unione, con altri Stati che potrebbero pretendere le stesse ‘mani libere’ dei britannici? Penso sia un ulteriore incentivo ad affrontare questo dibattito serio e complessivo sulla governance europea. La scadenza del referendum britannico ci dà una sollecitazione forte. Ritengo non ci possano essere regimi diversificati e certamente non ci può essere un regime ‘ad nazionem’. Ci possono essere però due situazioni diverse: dei vincoli di sovranità e di solidarietà più stringenti per chi fa parte oggi o vorrà entrare a far parte domani dell’area euro, e alcuni più flessibili e di minore coinvolgimento per coloro che sono fuori dalla moneta unica. Detto questo, mi auguro che la Gran Bretagna voglia convincersi a stare compiutamente nell’Unione europea.

Prima di arrivare alla “compiuta democrazia sovranazionale” di cui parla, quindi, si passa per una Europa a due livelli? È una Unione europea a due cerchi. Uno più coinvolgente nella sovranità e nella solidarietà, di cui facciano parte i Paesi che hanno adottato l’euro ma che sia aperto a qualsiasi altro Stato membro che voglia aderire; poi l’Unione più ampia e con vincoli meno stretti.

A proposito del ‘cerchio’ con la moneta unica, ieri la Commissione europea ha approvato una alcune proposte per l’Unione economica e monetaria, tra cui un seggio unico presso il fondo monetario internazionale, l’istituzione di un Fiscal board europeo, il completamento dell’Unione bancaria con un meccanismo europeo di assicurazione sui depositi. Come giudica queste proposte? Sono misure importanti, concrete, utili. Vanno nella giusta direzione, ma per avere una compiutezza hanno bisogno anche di altre misure di carattere politico e istituzionale. Vede, quelli che hanno pensato alla moneta unica pensavano che attraverso l’euro ci sarebbe stata una spinta forte per costruire la democrazia sovranazionale. Si è visto che questa spinta c’è stata ma non è stata sufficiente. Se oggi, per realizzare questo obiettivo, non si introduce una sollecitazione di tipo politico – per quanto con gradualità – mettiamo a rischio la stessa tenuta dell’euro. Invece l’Euro è un punto di forza che va dotato di tutti gli altri meccanismi della politica democratica.

Mi sta dicendo che va ristabilito un controllo politico anche sulla moneta? Io non penso a una Banca centrale europea che sia subalterna o condizionata dai governi, né da quelli nazionali, né dal governo dell’Eurozona o da quello della democrazia sovranazionale europea. L’Istituto bancario deve avere una sua autonomia. Ritengo tuttavia che quello della gestione dell’euro sia solo una parte della medaglia. C’è un’altra parte che è legata a politiche che non sono nelle mani della Bce: quelle fiscali, quelle per lo sviluppo, le scelte di bilancio. È questa la parte che manca.

Sono le leve che ha uno Stato, o una federazione di Stati, per governare l’economia. Ma lo è anche la facoltà di emettere denaro. Può funzionare una democrazia sovranazionale europea in cui quest’ultima leva rimane l’unica sottratta a un controllo politico? Il modello è quello che esiste negli Stati uniti d’America, non c’è da scoprire nulla. La Bce non è ancora la Federal reserve e il governo dell’Eurozona oggi non è quello federale degli Stati uniti. Quello statunitense è il modello che dobbiamo seguire, non dobbiamo inventarci nulla. Io penso che all’interno della situazione data, con il grado e il livello del potere politico attuale in Europa, le competenze oggi assegnate alla Bce, Draghi abbia fatto dei miracoli per salvare l’euro e salvando l’euro ha salvato l’Unione europea. Ora però bisogna dotarsi degli strumenti che non sono ignoti e che servono ad andare avanti.