Vannino Chiti - Senatore della Repubblica

Vannino Chiti – Senatore della Repubblica

Articolo pubblicato su L’HuffingtonPost

È bene fare un po’ di chiarezza sul confronto in atto sulla riforma costituzionale: soprattutto per i cittadini che tra pochi mesi saranno chiamati nel referendum a dire la parola decisiva. Anche perché non tutti quelli che parlano di intesa realmente la vogliono.
Stiamo alle questioni della composizione e delle modalità di elezione del Senato, che vedono ancora diversità di posizioni, dando per scontato che su funzioni e ruoli di controllo vi sia accordo: poi vedremo cosa produrrà un tavolo che si è chiamato istituzionale per tenerne fuori il più possibile i rappresentanti delle cosiddette minoranze o dei dissidenti, per usare le formule giornalistiche. In realtà ci si illude così di controllare meglio tutto: stessa logica che porta, su una riforma tanto decisiva ,a concentrare nella presidente della commissione anche le funzioni del relatore.
Sul merito dunque: non c’è mai stata una questione di numeri. 100 senatori sono l’esito dell’iniziativa della minoranza. Fosse per noi per funzionare meglio dimagrirebbe anche la Camera dei Deputati: da 630 a non più di 500. Sulla composizione ho avanzato una proposta di compromesso coerente con la dignità della Carta costituzionale: i futuri senatori siano, come è già scritto nel testo in discussione, sindaci e consiglieri regionali. Qual è allora il punto centrale che ancora divide? Chi elegge i consiglieri-senatori. Io voglio che siano i cittadini. Governo e maggioranza Pd sostengono che devono essere i consigli regionali.
La proposta avanzata da Martina, Pizzetti e Zanda infatti appare nella migliore delle ipotesi un marchingegno tortuoso, che darebbe luogo a un inverosimile Senato semi elettivo. Si vorrebbe lasciare scritto nell’articolo 2 che i “Consigli regionali eleggono i senatori” e poi inserire in un articolo che riguarda gli stipendi dei consiglieri o il procedimento legislativo la possibilità del ‘listino’. Perché mai i consigli regionali dovrebbe rinunciare ad attuare la Costituzione che prevede il loro dovere di eleggere i senatori, trasformandolo in un principio di ratifica affidato al loro buon cuore, ma esposto alla possibilità di contestazioni legittime?
Se si vuole che sia una ratifica quella dei consigli regionali, si scrive nell’articolo 2. Ma allora mi chiedo: dovendo in ogni caso modificare questo articolo, perché non si scrive chiaramente e semplicemente che sono i cittadini ad eleggere i consiglieri-senatori?
In ogni caso, tra qualche mese, gli italiani si troveranno di fronte a questo nodo: saranno loro a scegliere chi sarà anche senatore o questa decisione verrà presa dai gruppi politici presenti nei consigli regionali? Sarebbe bello se chi sostiene quest’ultima impostazione ne desse pubblicamente le motivazioni, uscendo dalle sciocchezze secondo cui il voto dei cittadini imporrebbe di mantenere al nuovo Senato la fiducia ai governi. Non è così in grandi nazioni come la Spagna o la Polonia, dove i cittadini eleggono al Senato parlamentari a tempo pieno, dovrebbe esserlo in Italia dove i cittadini eleggerebbero consiglieri-senatori, peraltro non in una sola elezione ma in concomitanza con il voto delle regionali? Una risposta l’ha data ieri Vincenzo De Luca, di recente eletto presidente della Campania – come è ovvio – direttamente dai cittadini: per me la ragione richiamata è fuori dalla grazia di Dio, ma almeno risulta chiara. Il voto diretto dei cittadini produrrebbe trasformismo. Invece per De Luca le trattative tra gruppi politici nei consigli regionali e la “pesatura” tra consigliere-senatore e assessore ci darebbero virtù e trasparenza. Il male da limitare sarebbe il voto dei cittadini. Una nuova teoria democratica, non c’è che dire.
Per concludere, noi “intransigenti” avevamo fatto anche un’altra proposta: il Senato sia composto dai sindaci delle Città capoluogo di Regione, dai presidenti delle giunte e da assessori delle Regioni e decida con voto unitario, per rappresentanze dei territori, non per gruppi politici. Sarebbe stata una soluzione assai vicina al Bundesrat della Germania federale: anche a questa soluzione si è opposto un niet. Mi pare dunque che ad oggi l’intransigenza nella chiusura e la volontà ferrea di proporre per la Costituzione pasticciacci battezzandoli entusiasticamente “intese” spettino al governo e a chi guida il Pd. Si rinuncia oltretutto a soluzioni che amplierebbero i consensi, coinvolgendo forze di opposizione, assicurando così un cammino più spedito alla riforma. Tutto questo ha una logica politica? A me, lo confesso, sfugge.