162987_1775975678306_1206766592_32120660_5579519_nCon l’approvazione definitiva di due dei decreti attuativi previsti, il Jobs act entra in vigore. A mio avviso vi sono alcuni aspetti negativi che possono vanificare le stesse intenzioni della riforma e il corretto rapporto tra Governo e Parlamento.
Nel merito, come avevo già sottolineato quando si discuteva la legge delega, temo diventi ancor più precaria la condizione di lavoro e di vita di milioni di persone. Il mondo del lavoro resterà diviso: i nuovi occupati non raggiungeranno più la pienezza dei diritti. Non era necessario intervenire di nuovo sull’articolo 18: era stato già riformato, rendendolo più flessibile, con la legge Monti-Fornero del 2012.
In futuro, i licenziamenti per motivi economici, senza possibilità di reintegro, vi è il rischio che mascherino tutte le interruzioni di contratto. Inoltre il reintegro, di fatto, viene meno anche per i licenziamenti per motivi disciplinari, a meno che non si provi l’insussistenza del fatto. Di fronte a questo alleggerimento delle tutele, era indispensabile almeno un disboscamento radicale delle altre forme di contratto. Invece il decreto attuativo ora al vaglio delle commissioni parlamentari competenti, prevede una riduzione molto timida della giungla di contratti precari esistenti. Spariranno i co.co.pro., i co.co.co., il lavoro ripartito e l’associazione in partecipazione. Sono forme di precariato fraudolento e la loro cancellazione è una buona notizia. Ma ce ne sono diverse altre che rimangono: ad esempio, il lavoro a chiamata e quello a somministrazione. È un errore grave: sono sufficienti l’apprendistato, il contratto a tempo determinato e quello a tempo indeterminato.
Infine, l’introduzione per i licenziamenti collettivi dell’indennizzo, in luogo del reintegro, in caso di violazione delle procedure, non attua disposizioni contenute nella legge delega. È una forzatura politica nel rapporto tra governo e Parlamento. Il governo non ha tenuto conto del parere votato all’unanimità dalle commissioni Lavoro di Camera e Senato. È una scelta legittima ma non indolore né priva di conseguenze: contribuisce all’indebolimento del ruolo del Parlamento. La democrazia moderna invece ha bisogno di valorizzare sia il Parlamento che il governo, non l’uno a spese dell’altro.