Nello scorso fine settimana si sono svolte due manifestazioni che hanno provocato un acceso dibattito all’interno e all’esterno del Pd: la convention della Leopolda a Firenze, la manifestazione, che ha visto la partecipazione di 1 milione di lavoratori, promossa dalla Cgil per contestare il ‘jobs act’ del governo e per chiedere politiche per l’occupazione.
Al di là forse delle stesse intenzioni, la tre giorni alla Leopolda mi è apparsa come l’incontro di una corrente di partito. È una contraddizione contestare l’esistenza delle correnti e poi non essere coerenti fino in fondo. È giusto promuovere la partecipazione, valorizzare il contributo di tante persone che con entusiasmo chiedono di poter contare nelle decisioni, dare spazio ai giovani che si interessano alla politica. Ma è doveroso farlo – cosa che non avveniva prima e continua a non succedere adesso – prima di tutto nell’ambito del partito, dando spazio a iscritti ed elettori. Se, nell’assenza di sedi di dibattito e decisione nel Pd, si privilegiano aree di riferimento, ne risultano indeboliti la coesione e un comune sentimento di appartenenza.
La manifestazione della Cgil non può essere derubricata a una forma di resistenza passiva del ‘fronte del no’, ad una raccolta di reduci o di nostalgici. Una marea di cittadini, moltissimi giovani, chiede risposte sul tema più importante di tutti: l’occupazione e i diritti dei lavoratori. Un partito progressista, plurale, si confronta col sindacato. Non gli concede una sorta di diritto di veto ma, nel rispetto della reciproca autonomia, ha il dovere di tenere in considerazioni le istanze di cui è portatore. Condivido alcune critiche della Cgil al Jobs act: restano validi i 7 emendamenti presentati al Senato da una trentina di parlamentari del Pd e non tutti presi in considerazione. Continueremo ad impegnarci per migliorare la legge delega sul lavoro, a partire dall’articolo 18 e dal finanziamento dei nuovi ammortizzatori sociali. Il testo varato al Senato è più arretrato delle decisioni della Direzione del nostro partito.
Non c’è bisogno di alimentare divisioni e di inseguire fantasmi di pseudo scissioni. È dannoso anche solo agitare queste discussioni. Dobbiamo realizzare il Partito Democratico che avevamo immaginato ma che non è mai nato: un partito plurale, che comprenda al suo interno tutte le diverse tradizioni del centrosinistra e della sinistra. Un’idea diversa dal partito della nazione: per come lo capisco, in esso verrebbero meno i confini ideali, politici, di valore.