INTERVENTO PER IL TIRRENO
Voglio dedicare un’attenzione particolare al tema della laicità, rimessa al centro di un confronto culturale e politico, non solo in Italia.
La prima: la laicità è un valore per le democrazie moderne, ancor più di ieri. Perché loro compito oggi è organizzare società multiculturali e multireligiose.
La laicità deve rinnovarsi ed estendersi: in troppe parti del mondo non esiste. Quella di cui abbiamo bisogno è una laicità di integrazione. Per semplificare uso l’immagine proposta da un grande giurista protestante francese Jean Bauberot. La laicità di integrazione – ci dice – va pensata come un triangolo, un grande spazio disegnato da tre lati, dove ognuno parte da un lato diverso ed è tentato di pensare che la laicità sia solo il so lato. Gli atei e gli agnostici, – ci dice Bauberot – partono dal lato della laicizzazione, cioè dall’affermare solennemente che lo Stato non si può identificare con nessuna confessione religiosa. Uno dei principi costitutivi della laicità, ma non l’unico. I credenti della religione di maggioranza partono da un altro lato, quella della libertà: la libertà religiosa, la libertà di manifestare la religione in pubblico, la libertà di esprimersi su tutti i temi pubblici, pensando che anche quello sia l’unico lato della laicità. Ma anche quello è uno dei tre lati. I credenti e le confessioni minoritarie partono dal terzo lato, quello dell’uguaglianza, per dire che la differenza numerica non deve comportare disparità di trattamento e anche loro rischiano di restare solo in quel lato. La laicità, oggi, è lo spazio coperto dai tre lati, e l’attitudine mentale della laicità che ciascuno di noi deve assumere è di partire dal suolo lato, ma di non scordarsi che le decisioni che dobbiamo prendere insieme stanno dentro lo spazio complessivo con tutti e tre i lati.
In Italia deve essere approvata la legge sulla libertà religiosa.
La Chiesa cattolica ha il diritto di intervenire e di confrontarsi con le istituzioni, sui temi sociali, culturali, etici. E’ sbagliato e oltretutto inutile rimpiangere i tempi della DC. Tuttavia, per chiunque, anche per la Chiesa, quando si interviene nella politica non ci sono verità di fede, dogmi: ci sono posizioni che si confrontano nel merito. Ci sono decisioni che si prendono, compromessi che si realizzano. Ci sono diritti incomprimibili delle minoranze. Anch’essi a fondamento della legittimità dello Stato. C’è la condivisione che nessuno deve ricorrere al braccio dello Stato per imporre concezioni di vita. Sono i laici, cattolici o meno, che devono con la loro fatica e responsabilità trovare le soluzioni. Lo dice il Concilio Vaticano II. La Chiesa cattolica del dopo Woityla sembra aver perso quello sguardo sul mondo che ne legittimava la forza espansiva.
Due punti sono per me decisivi. Il primo: sulle materie eticamente sensibili – che sempre più diventeranno materia della politica – come per la Costituzione i cambiamenti si fanno con maggioranze molto ampie. Questa è la nostra sfida, il nostro impegno e il nostro patto con il paese. Procedere con maggioranze ristrette è la traduzione politico parlamentare del relativismo-etico. Diverso è il comportamento se scegliamo invece – come dobbiamo – la via del pluralismo, che non è pretesa di imporre un’etica a tutti.
L’altro punto: come sinistra, noi vogliamo difendere, promuovere, valorizzare la vita. Sempre. Ovunque. Non c’è incertezza.
Quando una vita non ancora esistente, una vita potenziale, entra in drammatica contraddizione con la vita che c’è, la scelta più sicura non sono né gli interventi di uno Stato autoritario ed etico; né i precetti delle istituzioni religiose, ma la responsabilità della coppia, la sua scelta, in primo luogo quella della donna.
Nessuna garanzia è più forte e sicura di quella di una donna, che sente in sé la responsabilità della vita. Per questo, senza ambiguità, senza incertezze, difendiamo la legge 194, una buona e seria legge, tra le migliori esistenti in Europa.
Né abbiamo qualche remora o incertezza a confermare il nostro impegno per i Patti civili di solidarietà.
Non per sussumere – come si dice – sotto un medesimo, confuso valore di matrimonio, differenti situazioni di relazioni interpersonali, ma perché lo Stato ha la responsabilità di garantire vincoli reciproci tra persone che hanno scelto di vivere insieme, in modi e forme diverse dal matrimonio che è in Costituzione.
E’ un atto di civiltà consentirlo. Non è un problema il nome con il quale designare il provvedimento. Quello che conta è che non si può affidarlo a fondamenti privatistici: la società e lo Stato debbono fondarlo su un provvedimento di legge, non delegarlo agli studi dei notai.
Non è nelle nostre mani costruire la felicità. Quando la politica ha preteso di farlo, ne sono nati sciagure e disastri.
Creare le condizioni perché le persone, donne e uomini, attraverso la loro libertà e responsabilità, possano ricercare una vita più felice, più degna, possono realizzare le loro aspirazioni, è invece un compito della sinistra.
Diritti umani, cittadinanza devono essere portati avanti, ovunque. Sono la stella polare per la rotta della sinistra del XXI secolo. Una sinistra che si curasse dei diritti umani, della libertà, della cittadinanza limitatamente al proprio paese, sarebbe ben misera cosa. È su questa strada che incontriamo l’Europa, la sua dimensione politica da rilanciare, il suo ruolo da farle svolgere di “potenza civile”, a servizio della pace e della cooperazione.
Noi dobbiamo contribuire a rendere questo mondo un villaggio planetario, come ci diceva Ernesto Balducci.

Vannino Chiti